Ci sono giochi che sembrano usciti da un sogno d’infanzia, e Wander Stars appartiene senza dubbio a questa categoria. Fin dai primi minuti, il titolo sviluppato da Paper Castle Games evoca l’odore dei pomeriggi davanti alla TV, quando bastava l’annuncio di una nuova puntata di Dragon Ball Z per tenere milioni di bambini incollati allo schermo. Non è solo un tributo all’estetica degli anime anni ’80 e ’90: è una vera e propria lettera d’amore a quel modo di raccontare storie, con la stessa energia, le stesse espressioni esagerate, la stessa voglia di avventura sconfinata.
La trama si apre come un episodio di una serie animata: Episodio 1 – Ringo, Attenta!! L’apparizione del terribile Wolfe!. Un titolo che già di per sé mette subito le cose in chiaro: Wander Stars vuole sembrare un anime perduto nel tempo, di quelli che credevi di ricordare ma non riesci a collocare. La protagonista è Ringo, una giovane artista marziale cresciuta da una nonna severa ma affettuosa, che sogna di partecipare a un grande torneo di combattimento. Tutto sembra procedere per il meglio, finché non incrocia Wolfe — un lupo antropomorfo, goffo e furbo — che le ruba accidentalmente un frammento di mappa. Da quell’incontro-scontro nascerà una strana alleanza, un viaggio che porterà i due attraverso pianeti, galassie e culture, ognuno con un obiettivo diverso, ma un destino intrecciato.

L’atmosfera è da subito irresistibile. Lo schermo assume una grana da VHS, i colori hanno quella saturazione leggermente sbiadita delle vecchie trasmissioni televisive, e persino le inquadrature ricordano la regia tipica delle serie di Akira Toriyama. Ringo, con i suoi occhi spalancati e la corporatura minuta ma muscolosa, sembra una cugina dimenticata di Son Goku bambino. Ogni personaggio — dai capibara surfisti ai granchi pugili — ha un design espressivo e ironico, costruito con affetto più che con nostalgia sterile. È un mondo che vive e respira di citazioni, ma senza mai cadere nella parodia.
Dal punto di vista sonoro, il lavoro di Marcos Villarejo (“Sayth Vashra”) è una sorpresa di grande classe. La colonna sonora non imita semplicemente le sonorità di Dragon Ball o Naruto, ma costruisce una personalità propria: orchestrazioni leggere, inserti di pianoforte e un’anima jazz che ricorda più Cowboy Bebop che le solite colonne sonore da shōnen. La musica accompagna ogni battaglia e ogni esplorazione con un ritmo dinamico, mai invadente, e riesce a rendere piacevole anche la ripetizione dei livelli. Peccato solo per qualche problema tecnico — in certe sequenze finali dei capitoli l’audio scompare del tutto, anche nei dialoghi —, un difetto che sembra più un bug che una scelta stilistica.

Il cuore del gioco, però, è il suo sistema di combattimento, un RPG a turni che unisce strategia, linguaggio e spettacolo. Ringo combatte da sola, ma le sue mosse nascono dalla combinazione di parole che il giocatore raccoglie e mescola per creare frasi d’attacco — quasi come urlare il nome di una tecnica in un anime. Le parole hanno funzioni diverse: alcune infliggono danni, altre potenziano, altre ancora impongono stati alterati o riducono i tempi di ricarica. Imparare a comporle con logica e anticipo diventa una sorta di puzzle linguistico, dove il ritmo e la scelta lessicale determinano la vittoria. È un sistema originale, ma non immediato: il gioco spiega le basi, ma lascia che sia il giocatore a scoprire le combinazioni migliori, premiando chi ha voglia di sperimentare.
Le mappe si sviluppano su griglie esplorabili liberamente, senza dadi o carte, ma con percorsi multipli e possibilità di tornare sui propri passi. Ogni spazio può contenere battaglie, eventi o dialoghi, e avanzare implica anche gestire i tempi di recupero delle abilità, poiché le caselle nere permettono di ridurre i cooldown. È un’idea interessante, che trasforma l’esplorazione in una parte attiva della strategia. A fine livello, il gioco assegna una valutazione in stelle e ricompense in valuta utile per potenziare le abilità. Curiosamente, si guadagna di più evitando di eliminare i nemici: vincere “pacificamente” diventa una sfida nel puzzle della battaglia, rendendo ogni scontro un piccolo enigma morale oltre che tattico.

E poi c’è la rigiocabilità, che Wander Stars spinge con convinzione. Ogni livello può essere affrontato più volte per ottenere punteggi migliori o completare sfide opzionali. Una volta finita una missione, si sblocca la modalità “Challenge”, che introduce regole folli — nemici invisibili, vulnerabilità casuali, restrizioni severe — aumentando la difficoltà ma anche le ricompense. È un sistema che incoraggia il miglioramento costante, anche se il rischio di “livellare” troppo e rendere i capitoli successivi troppo facili è concreto.
L’unico vero difetto strutturale è la durata eccessiva dei livelli. Ogni stage è diviso in più sezioni, con molte battaglie e numerosi eventi testuali, e persino le rigiocate costringono a ripassare le stesse cutscene, che non si possono saltare ma solo “accelerare”. Anche con la funzione di avanzamento rapido, l’impressione è quella di un gioco che tende a dilatarsi più del necessario. Il primo livello, ad esempio, può facilmente durare un’ora, e anche le successive partite raramente scendono sotto i quaranta minuti. Un po’ troppo, soprattutto considerando che la struttura non cambia molto da un replay all’altro.

Nonostante questi rallentamenti, Wander Stars resta un piccolo gioiello di stile e personalità. Riesce a far rivivere l’emozione degli anime pomeridiani senza risultare derivativo, costruendo un universo colorato, sincero e ricco di cuore. È un RPG atipico, che mescola linguistica e strategia, umorismo e malinconia, con una scrittura che sa essere leggera ma mai banale.
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VALUTAZIONE FINALE - Wander Stars
Wander Stars è un’esperienza capace di risvegliare la nostalgia di un’intera generazione, ma con idee moderne e un’identità forte. Le sue imperfezioni tecniche e la ripetitività di certi segmenti non riescono a oscurare il piacere di esplorare, combattere e lasciarsi trascinare in un mondo che sembra davvero uscito da un sogno animato. Un titolo che non si limita a ricordare il passato, ma lo reinventa con affetto, ritmo e fantasia.

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