Rise of Industry 2

Rise of Industry 2 – Recensione

Ci sono giochi che ti insegnano a gestire un impero industriale, e poi c’è Rise of Industry 2, che sembra voler testare prima di tutto la tua pazienza. Dietro la sua estetica piacevolmente rétro e la promessa di un gestionale profondo, il titolo di Kasedo Games nasconde una struttura labirintica, fatta di tutorial appena accennati, menù criptici e meccaniche che si svelano solo dopo ore di tentativi, errori e un po’ di disperazione. Eppure, una volta superata la salita iniziale, il gioco sa offrire una complessità rara, quasi ossessiva, che può trasformarsi in autentica soddisfazione per chi ama gli strategici economici duri e puri.

L’ambientazione ci catapulta negli Stati Uniti degli anni ’80, tra casette prefabbricate, insegne al neon e musiche sintetiche che escono dritte da una cassetta consumata. È un mondo che sa di grafici su carta millimetrata, di odore di benzina e di management analogico. La ricostruzione d’epoca non è solo estetica: anche i prodotti rispecchiano il periodo, e già nelle prime missioni ci ritroviamo a fabbricare musicassette, lavorando plastica e carta come piccoli magnati del vinile. È un dettaglio che dà carattere, anche se il fascino svanisce rapidamente quando ci si trova a combattere con un sistema produttivo tanto profondo quanto ostico.

Rise of Industry 2

Il gioco richiede di costruire filiere complesse, intrecciando materie prime, stabilimenti e logistica. Ogni fabbrica va progettata pezzo per pezzo: si sceglie un’area e si collocano uffici, magazzini, reparti produttivi, persino le strade interne. È una trovata interessante, un “Tetris industriale” che dà al giocatore una sensazione di controllo e creatività. Ma la libertà ha un prezzo: la gestione diventa presto una giungla di rampe di carico, strade d’accesso, depositi specializzati e contratti da bilanciare con una precisione quasi contabile. Basta un errore – un collegamento mancante, un magazzino inadatto o un rifornimento che salta – e l’intera catena si blocca, causando perdite e penali.

L’idea di fondo è affascinante: costruire un impero industriale in un mondo che non perdona, dove il mercato è spietato e i rapporti umani contano quanto le risorse. Si possono mandare i propri manager a stringere relazioni durante cene d’affari o partite di squash, partecipare a fiere e cercare contatti influenti che aprano nuove opportunità. È un aspetto che ricorda quasi Crusader Kings più che un gestionale economico, con il potere che passa anche attraverso la diplomazia e l’influenza. Tuttavia, la parte relazionale rimane poco chiara e troppo rigida: spesso non si capisce bene come ottenere nuovi membri per il team o quali vantaggi concreti portino certe conoscenze.

Rise of Industry 2

La curva di apprendimento, inutile negarlo, è brutale. Il tutorial è poco più di un assaggio e lascia il giocatore a cavarsela da solo in una campagna che pretende conoscenze che non ha ancora acquisito. La gestione dell’acqua, per esempio, può diventare un incubo: il manuale suggerisce un semplice pozzo, ma il gioco lo nasconde dietro diciture fuorvianti e menù secondari. E così si finisce a spulciare forum o video su YouTube per capire come far funzionare un meccanismo basilare. È un peccato, perché Rise of Industry 2 non è un gioco impossibile — semplicemente non si lascia capire facilmente.

Una volta interiorizzate le logiche, però, emerge la sua grandezza. La varietà di risorse, processi e possibilità è impressionante. Ogni prodotto può essere realizzato in più modi, a seconda delle materie prime disponibili. Non c’è una strada unica per arrivare al profitto, e questo incoraggia la sperimentazione. Vuoi fare vino in Texas? Forse non troverai uve locali, ma potresti aggirare il problema con importazioni o contatti giusti. È un gioco che non ti regala nulla, ma ti lascia la libertà di arrangiarti come un vero imprenditore del capitalismo selvaggio.

Rise of Industry 2

Certo, la complessità logistica spesso rasenta l’assurdo. Ogni categoria di prodotto richiede rampe e magazzini specifici, come se l’intera infrastruttura fosse progettata da un burocrate con manie di classificazione. Il risultato è un’interfaccia che affatica: manca una visione d’insieme dei flussi produttivi, e spesso si è costretti a cliccare manualmente ogni edificio per capire cosa sta entrando e cosa sta uscendo. Perfino ricaricare una partita richiede troppi passaggi, come se il gioco volesse ricordarti costantemente che il mondo dell’industria non è per i pigri.

Nonostante tutto, c’è una soddisfazione quasi artigianale nel vedere i propri camion muoversi, le fabbriche prendere vita, i magazzini riempirsi e le prime esportazioni partire. È un titolo che non punta alla spettacolarità, ma alla precisione. Il suo fascino è quello di un meccanismo perfettamente calibrato, che chiede disciplina e metodo. Non ha la vivacità sociale di Cities: Skylines né l’immediatezza di un Anno 1800, ma sa offrire un senso di costruzione autentico e coerente.

Rise of Industry 2

Alla fine, Rise of Industry 2 è un’esperienza che divide: può sembrare frustrante, macchinosa e poco accogliente, ma per chi ama il genere rappresenta una sfida degna di nota. È un gestionale che non semplifica, non perdona e non si preoccupa di piacere a tutti. Il suo linguaggio è quello delle regole contabili, dei margini di profitto e dei contratti vincolanti, e in questo rigore trova la sua identità.

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